Corriere Adriatico, 20 Aprile 2023
Andrea Cardinaletti, jesino classe ’57 e coordinatore della commissione strutture della Lega Serie A di calcio. Dopo una carriera lunga e piena di traguardi, in ambito sportivo e non solo, se dovesse voltarsi cosa vedrebbe?
«Tante vite diverse. Nel 1978 giocavo con la Primavera del Milan, ero in camera con Franco Baresi, ma decisi di andare a lavorare in banca. Il primo che informai fu Nereo Rocco, al tempo assistente di Nils Liedholm, un secondo padre nella sua durezza. In banca rimasi trent’anni prima di andare a dirigere il Credito Sportivo contribuendo alla nascita delle grandi infrastrutture legate allo sport come lo Juventus Stadium. Dove c’è anche una targa con il nome».
Oggi è capo dell’”Italia degli stadi”. Una bella responsabilità vista la corsa all’assegnazione di Euro2032 con il dossier appena consegnato all’Uefa. Perché proprio lei?
«Perché so mettermi a disposizione e trasferire la mia esperienza ai giovani. Il dossier, condiviso con il presidente federale Gabriele Gravina, era il migliore che potessimo presentare. C’è tanta progettualità ma anche un preciso impegno: gli stadi in questione (Roma, Milano, Torino con l’Allianz Stadium, Genova, Bologna, Verona, Firenze, Napoli, Bari e Cagliari) devono essere rinnovati con o senza gli Europei. È questa la grande sfida».
Cosa intende?
«Euro ‘32 può cambiare il volto economico del paese, è indubbio. Ma dobbiamo valorizzare a prescindere le risorse a disposizione, basti pensare agli sbagli e alle difficoltà che stiamo incontrando con i fondi del Pnrr. Non sono i soldi che mancano ma la capacità di saperli utilizzare. Un progetto più corto di cinque anni non è una strategia ma semplice amministrazione».
La Turchia, nostro competitor, è favorita o l’Italia può spuntarla (la Uefa deciderà entro il 10 ottobre)?
«I turchi hanno stadi già belli e pronti. Noi dobbiamo farli, anzi rinnovarli. Perché per il 90% si tratterà di ristrutturazione. La situazione è meno drammatica di come la si vuole dipingere e l’Italia, oltre all’energia migliore, ha un punto a favore».
Sarebbe?
«La sua bellezza».
A lei le sfide sono sempre piaciute.
«La comodità non mi attrae. Ho iniziato la carriera da dirigente sportivo prima a Palermo e poi a Brescia conquistando due promozioni in Serie A. In Sicilia ho ammirato Dybala che cedemmo alla Juve con un’operazione da 40 milioni. La serie A arrivò anche a Venezia, ma l’amaro in bocca mi rimase ad Ascoli accanto al presidente Francesco Bellini».
Che successe?
«Bellini è stata un’occasione persa per lo sport marchigiano, c’era un importante progetto tecnico che andava assecondato».
Jesi fa rima con il sociale e con la Fondazione Onlus intitolata a suo fratello, Gabriele Cardinaletti .
«La cosa di cui vado più orgoglioso. Da quando Gabriele (diversamente abile sempre al servizio dello sport, ndr) è venuto a mancare, abbiamo deciso di operare attivamente nell’ambito dell’inclusione. La prossima mission riguarderà la nascita della cittadella sportiva a Jesi».
Alle Marche del pallone cosa serve per spiccare il volo?
«La Serie A. Ascoli e Ancona sono quelle che, per risorse e progettualità, hanno le possibilità maggiori».