Vallesina.it, 6 Aprile 2024
Il campione jesino ha raccontato il suo percorso nel mondo del calcio, senza dimenticare il legame, sempre strettissimo, con la propria città natale.
Nell’ambito della Mostra della “Fondazione Gabriele Cardinaletti Onlus” dal titolo “Jesi e il ’900, verso il 2050 – Le farfalle arriveranno”, oggi è stata la volta di uno dei soci onorari, Roberto Mancini.
Campione che non ha certo bisogno di presentazioni l’ex calciatore, oggi allenatore della Nazionale dell’Arabia Saudita, si è messo a nudo raccontando il proprio rapporto, sempre speciale, con la sua città natale, Jesi.
Partito giovanissimo a 13 anni e mezzo per la sua prima esperienza calcistica, al Bologna, Mancini ha raccontato i suoi primi giorni lontano da casa, difficilissimi. Aiutato però, da un ambiente che ha fatto di tutto per metterlo a suo agio, ed una città accogliente per sua natura, il distacco da Jesi, la famiglia e gli amici, è stato via via meno traumatico, e superato.
«Il mio obiettivo era quello di arrivare a giocare in serie A», ha raccontato Roberto Mancini, «ho fatto tanti sacrifici, ma sono stati ampiamente ripagati. Il sogno era quello di giocare, non certo di guadagnare. Ricordo la prima somma che arrivò, allora una semplice diaria di 40.000 lire. Fu molto strano per me ricevere del denaro per giocare e divertirmi».
Mancini, stuzzicato dalle domande di alcuni ragazzi della Fondazione su eventuali imposizioni nella sua vita, anche da giovanissimo, ha risposto così: «I giovani devono essere liberi. Personalmente, ho sempre fatto di testa mia. Un ragazzo deve sempre fare quello che si sente, seguire il proprio istinto. Si può anche fallire, anzi, sarà certo molto più probabile fallire, ma arriveranno prima o poi anche dei successi, che nasceranno magari proprio da quei fallimenti. Penso di aver vissuto negli anni ’80, ’90 e 2000, i momenti più belli sia del calcio che dell’Italia. Mi dispiace molto che i ragazzi di oggi non possano rivivere quei momenti. Oggi il mondo del calcio, come quello della società, è completamente diverso da allora».
Poi, il campione jesino è tornato sul rapporto con la propria città: «Ricordo la mia infanzia a Jesi, quando si poteva girare tranquillamente per strada, senza alcun pericolo. Jesi è stata e continua ad essere un punto di riferimento importantissimo per me, in ogni momento, anche in quelli più difficili. A Jesi posso ritrovare gli amici di sempre, quelli coi quali sono cresciuto e condiviso tanti ricordi della mia infanzia. Jesi è una città bellissima, piena di storia che, nello sport in particolare, ha fatto qualcosa di straordinario».
Un pensiero inoltre, va al suo amico fraterno Gianluca Vialli, amico e compagno di squadra per tantissimi anni sia alla Samp che in Nazionale, prematuramente scomparso: «È rimasto ancora tutto di lui. Gianluca per me è un fratello, e fa parte di quegli sportivi immortali. È stata una persona speciale. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo lo sa. È come se fosse ancora vivo».
Infine, in merito ai quesiti su un bilancio della propria carriera, l’attuale esperienza in Arabia Saudita e un giudizio sulla Nazionale di Spalletti, Mancini ha concluso così: «Sono felicissimo di quello che ho fatto, sia da allenatore che da calciatore. L’importante è avere voglia di sfide, e cercare di vincerle. In Arabia il calcio sta migliorando, ovviamente non è ancora al livello di quello europeo. Lì ho trovato persone perbene, ed i ragazzi sono migliorati tantissimo. La nostra Nazionale invece, è sempre pericolosa e temuta. Anche questa l’Italia volta arriva agli Europei non certo da favorita, ma in una competizione di un mese può succedere di tutto, e il gruppo vanta giocatori molto forti che possono fare la differenza in questi casi».